Jacopo Berti (Lega Nord): “A Faenza servizi sempre più lontani dai cittadini”
Per il dossier di Buon Senso Faenza “Comunali 2015 – Faenza 500 giorni dopo” abbiamo intervistato Jacopo Berti, rappresentante in consiglio comunale della Lega Nord. Con lui abbiamo approfondito alcune tematiche sulla nostra città: l’Unione della Romagna faentina, il lavoro, la situazione dei richiedenti asilo, il progetto rom portato avanti dalla Fondazione Romanì.
Che voto dà Jacopo Berti da 1 a 10 all’azione portata avanti da Giovanni Malpezzi e dalla sua Giunta in questo inizio di secondo mandato?
Direi 4. Non posso dare di meno perché i Comuni oggi non hanno più le risorse di un tempo per portare avanti quello che dovrebbero e vorrebbero, sono bloccati dallo Stato e dal Patto di stabilità. Per quello che avevamo in testa noi (della Lega Nord, ndr) si è sbagliato su molte tematiche – come le questioni pediatria a Faenza e Cisa – gestite poi male dall’amministrazione comunale. Questioni che, tra l’altro, se fossero uscite prima avrebbero vanificato la riconferma di Malpezzi nel 2015. Un altro punto dolente è la questione rom: il progetto portato avanti dall’amministrazione è sbagliato perché manca la volontà di integrazione proprio da parte dei rom. In sintesi dal nostro punto di vista l’amministrazione non merita un voto sufficiente rispetto alle prerogative.
Secondo lei qual è l’aggettivo che meglio descrive Faenza nella sua situazione attuale?
Immobile. Non si riesce a uscire dal pantano.
Come immagina Jacopo Berti Faenza nel 2020?
Stando così le cose purtroppo credo che Faenza avrà problemi in ambito lavoro e sul piccolo commercio. Secondo me tante peculiarità di Faenza – dalle piccole e medie imprese al centro storico – andranno a morire. Spero vivamente ci possa essere un cambio di direzione nei prossimi due anni di amministrazione Malpezzi, anche se non intravedo grandi possibilità. Secondo me dal 2020 ci sarà però un altro colore politico al comando: noi stiamo lavorando per il 2020, facendo un’opposizione costruttiva in vista delle prossime elezioni amministrative. Sarà un punto di ripartenza per la città.
“L’Unione dei Comuni è stata realizzata con troppa fretta e ha un gap di democrazia”
La Lega Nord ha portato avanti, insieme alle altre opposizioni, una battaglia contro il conferimento di ulteriori funzioni e servizi all’Unione dei Comuni. Se Padovani fosse stato sindaco, come si sarebbe mosso su questo versante? L’Unione dei Comuni non sarebbe esistita? Si sarebbero approfonditi meglio lo studio dei singoli servizi prima di conferirli a livello sovracomunale?
Punto di partenza della nostra critica all’Unione dei Comuni è il gap di democrazia. Stiamo creando una sorta di mega-comune da 100mila abitanti senza che questo abbia avuto elezioni dirette. I cittadini sono sottoposti a un’entità che decide senza che siano stati eletti i propri componenti. Io attualmente sono consigliere comunale a Faenza e precedentemente lo ero a Castel Bolognese, ho avuto modo di vedere bene la situazione dei piccoli Comuni: stanno perdendo completamente potere perché tutta la discussione va in capo all’Unione. Anche il consiglio comunale di Faenza ha perso tantissimo; stiamo perdendo potere locale. L’Unione in sé per me è un carrozzone in cui si vanno a creare mega gestioni senza che queste siano adeguatamente controllate. Da un lato è vero che nei piccoli comuni si aumentano i servizi, ma allo stesso tempo ne perdono altri e in questo modo i servizi si allontanano dai cittadini. Poi c’è la questione Asp: hanno unificato le Asp dei sei Comuni per coprire i debiti di quella di Faenza. La si può “vendere” come miglioramento dei servizi, ma in realtà è stata fatta per coprire i debiti. Allo stesso modo l’Unione della Romagna Faentina si fonda su interessi specifici, non sulle persone.
E quindi come interagirà la Lega Nord con questo ente?
In vista del 2020 come Lega Nord vediamo la prospettiva più rosea perché ci saranno diverse elezioni comunali nel frattempo e quindi riusciremo a mettere più componenti dell’Unione, che non sarà più a stramaggioranza del Pd. All’interno dell’Unione ci sarà più dibattito e un’opposizione che ora manca: per esempio attualmente la Lega Nord non è rappresentata nell’Unione – anche per nostre colpe. Uscire dall’Unione adesso, dopo che vi sono stati conferiti molti servizi, è difficile. Proprio per questo la cosa che si poteva fare in fase di partenza, era aprire di più ai cittadini e amministratori locali senza fare per forza le cose in fretta e furia. Recentemente sono stati conferiti addirittura altri nove servizi: c’è un eccesso di voler fare senza che dietro ci siano solide basi. Noi avremmo voluto rallentare un po’ questo processo, cercando di dare più informazioni e sensibilizzare i cittadini sulla questione. Resta il fatto che adesso il Comune non decide più niente.
Venendo nel dettaglio, la Lega ha criticato il conferimento in Unione della Polizia Municipale, che con uno “sconto” concesso dalla Regione sul rapporto abitanti – agenti maschererebbe la diminuzione dell’organico del servizio, pur rientrando nei limiti previsti dalla legge. Ma l’unica soluzione alternativa – con un turn over del personale bloccato per legge al 25% nei Comuni (un nuovo assunto per 4 pensionamenti) come avrebbe potuto garantire la presenza degli stessi agenti ora in dotazione ai singoli sei enti? Il conferimento in Unione, con il turn over al 100% non rappresenta invece un’opportunità?
Può essere un’opportunità ma è a discapito di Faenza. Sono quasi sempre i vigili di Faenza che vanno a fare servizio fuori. È vero che lo sblocco del turn over rappresenta un’opportunità, il problema è però che Faenza è già sotto organico. Feci già una proposta nel 2014 per modificare l’apparato della polizia. Ad oggi, facendo un esempio con numeri ipotetici, se ci sono 100 vigili sul territorio 30 sono costretti a stare in ufficio a svolgere mansioni burocartiche: sono numeri molto alti. La mia proposta era quella di smistare alcune competenze per portare così più agenti concretamente sul territorio. Purtroppo questa ipotesi non è stata valutata: sarà una cosa che faremo nel 2020.
“Prima di toccare l’articolo 18 bisognava fare un referendum”
In merito alla polemica sul ministro Poletti, lei ha affermato che il settimanale diretto dal figlio Manuel sembra “un organo di informazione sembra un bollettino delle Amministrazioni del Pd, che per di più negli ultimi 3 anni ha percepito più di 500mila euro di contributi governativi”. Può spiegare meglio queste affermazioni?
In primo luogo mi sono sentito abbastanza offeso perché io non sono mai andato all’estero per motivi lavorativi, ma altri miei amici sì, e sarebbero rimasti ben volentieri in Italia se solo ne avessero avuto la possibilità. A maggior ragione queste dichiarazioni mi danno fastidio sapendo che il figlio di Poletti, Manuel, abbia lavoro come direttore di una cooperativa non per i suoi meriti, ma per via del padre. Il giornale Sette Sere ha preso i contributi statali come tutti gli altri giornali, anche se è evidente come sia affiliato a una struttura del Pd e non pubblica cose contrarie ad esso, così come non pubblica gran parte dei nostri comunicati. Ora insieme a Samanta Gardin stiamo preparando un esposto in quanto Sette Sere ha una tiratura molto bassa rispetto ai contributi che riceve.
Uno scoglio molto spinoso sul versante lavoro e tutele saranno i referendum promossi dalla Cgil (no ai voucher, ripristino art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, estensione della responsabilità negli appalti)… come la pensa la Lega Nord di Faenza?
Di principio qualsiasi referendum venga proposto noi siamo favorevoli: rappresenta infatti la più alta forma di democrazia. Sul lavoro io penso che il voucher sia un’”arma” del governo per dimostrare che il lavoro c’è, ma in realtà è semplicemente la legittimazione del lavoro nero e addirittura lo incentiva. Sull’articolo 18 si è detto tanto. Andando avanti coi tempi se ci vogliamo “globalizzare” – cosa verso cui sono contrario – l’articolo 18 andrà a scomparire perché seguiremo sempre di più il modello americano. Per la storia sindacale italiana invece l’articolo 18 è sacrosanto: si doveva partire dal presupposto che per toccarlo bisognava fare un referendum. Sul lavoro si è fatto poco sia a livello nazionale che locale. C’è un grosso problema: coloro che governano sono persone che non hanno mai lavorato, diversamente saprebbero bene dove mettere le mani. Non mi riferisco solo al Ministro, ma a tutte le persone che ha dietro. Anche i sindacati stanno sbagliando tanto, hanno perso potere e cercano di arrampicarsi per tornare alla ribalta. Se vogliamo fare referendum io sono favorevole, poi bisogna vedere come questi referendum verranno stesi.
“Portare a Faenza il Sì al 54% per noi rimane comunque un buon risultato”
Rimanendo in tema di referendum, come legge il voto del 4 dicembre a Faenza? Il No ha stravinto a livello nazionale con il 60%, ma nella nostra città il risultato ha sorriso al Sì con il 54%… in particolare alcune zone della campagna (Reda, San Pier Laguna, Celle) che avevano votato Padovani al ballottaggio nel 2015 hanno votato in modo netto “Sì” al referendum. Come legge questo dato? Le opposizioni avrebbero dovuto impegnarsi di più nello sfruttare la loro base elettorale delle comunali, o è stato il PD più capace di ricevere il supporto di alcuni mondi organizzati come la Coldiretti?
Bisogna partire dal presupposto che Faenza è una città veramente renziana: c’è un sindaco renziano, un senatore renziano, la consigliera regionale Manuela Rontini è una fedelissima di Renzi e – va ammesso – si dà molto da fare. Tenendo conto di questo un risultato del genere è comunque poca roba. Pensando tutto quello che hanno mosso vincere con il 54% non è tanto. Sul voto forese la Coldiretti si era schierata subito per il Si e ha certamente un grande peso sul pensiero degli agricoltori. Noi avremmo sperato vincesse il No, ma portare il Pd a livello del 54% è comunque una soddisfazione. Come Lega abbiamo organizzato un dibattito a quattro con il Pd dove democraticamente ognuno spiegava le proprie opinioni. Tutti i sabati eravamo in piazza e su tutto il territorio. Se guardiamo al voto sul referendum confrontato a quello delle comunali del 2011 viene da pensare che il Sì sia stato votato da una grossa frangia di elettori di Forza Italia.
Venendo alla questione Rom, come valuta Jacopo Berti il progetto impostato dalla Fondazione Romanì con il Comune di Faenza?
Noi siamo stanchi di dover parlare solo dei rom rispetto alle tante altre tematiche che portiamo avanti. In ogni caso sono i cittadini i primi a chiederci aiuto. Noi il 31 dicembre siamo andati in via Corbari – dove sembrava si stesse radunando un gran numero di rom in vista del Capodanno – abbiamo parlato con l’assessore Luccaroni e tutti i Rom improvvisamente sono spariti. Noi siamo stanchi di parlare di questa cosa: il problema è il progetto di integrazione impostato dalla Fondazione Romanì, che secondo noi è sbagliato. Prima deve esserci il lavoro poi la casa: è tramite il lavoro che ci si integra nel nostro contesto abitativo. Poi è un dato di fatto che dove trovino residenza aumentino le problematiche. Poi ogni volta che manifestiamo i rom scompaiono e ad avvisarli sono le associazioni che su di loro ci lucrano. Se si vuole fare progetto di integrazione rom si deve partire dai doveri, il lavoro e poi diritti. Il nostro progetto in merito si rifà a quello di alcuni sindaci del Nord Italia. Noi siamo contrari ai campi rom, andrebbero invece realizzati piccoli gruppi in zone controllate senza che si arrivi ai grandi campi. La priorità comunque è partire da un progetto lavorativo e, di pari passo, la costrizione dei figli ad andare a scuola.
Jacopo Berti: “Sull’ospedale i sindaci devono farsi sentire di più”
Quale è la posizione della Lega Nord riguardo la riorganizzazione ospedaliera portata avanti da Ausl Romagna?
Siamo contrari alla riorganizzazione, perché si basa sui soldi e non sui servizi alla persona. Su Faenza per esempio, per puro caso, siamo riusciti sin da subito a tenere monitorata la situazione della pediatria. Il 17 giugno 2016 ci hanno chiamato delle mamme in ospedale in merito alla questione e subito abbiamo fatto un’interrogazione regionale sullo stato pediatria di Faenza. Anche nel consiglio regionale è in attesa di essere discussa la risoluzione del nostro consigliere Andrea Liverani per ristabilire la pediatria a Faenza come un tempo. Le Ausl stanno accentrando i servizi in pochi centri per limitare i costi e il progetto di Ausl Romagna è chiaro: far scendere Faenza e Lugo sotto la soglia di 500 nascite con conseguente sparizione della pediatria. Ma Faenza serve anche territori molto distanti come quello di Marradi. Come per l’Unione dei Comuni si stanno allontanando i servizi dai cittadini.
Il consiglio comunale si è mosso però compatto riguardo la questione ospedale, non le sembra?
La linea è però molto morbida e i sindaci dell’Unione dovrebbero vedere di più la cittadinanza. Se il sindaco facesse un’assemblea pubblica e sentisse i pareri della cittadinanza, cercherebbe di cambiare rotta. Tutti i sindaci dell’Unione sono invece abbastanza pacati e prima di andare contro un potere forte ci vanno piano. È arrivato però il momento di spingere di più: facendo i “morbidini” intanto perdiamo i servizi e facciamo arrabbiare la gente. Ora non c’è una vera presa di posizione da parte dell’amministrazione: bisogna iniziare ad usare il pugno duro. Ci sono pochi soldi, per questo devono essere gestiti meglio per impedire che i servizi si allontanino dai cittadini.
“Il lavoro deve essere lo strumento principale per far conoscere il territorio a rom e richiedenti asilo”
Come valuta Jacopo Berti la gestione dei richiedenti asilo nel nostro territorio?
La posizione della Lega Nord è la stessa sin dagli sbarchi del ‘91. Un conto è accogliere persone che scappano dalla guerra o dalla persecuzione. Ma noi imbarchiamo di tutto e di più e stiamo imbarcando persone con cifre esorbitanti. Sono numeri che non possiamo gestire e purtroppo la prima mancanza è quella dell’Europa. A livello comunale invece il problema è che mettiamo nei nostri luoghi inutilizzati – come per esempio la residenza del Fontanone – persone che non sappiamo da dove vengono, da dove scappano. Ci sono imposti, ma c’è una gestione dietro della gara dell’accoglienza che non si basa sulla bontà ma sull’interesse economico. Il discorso dei 35 euro va approfondito ovviamente non tanto per i profughi, a cui vanno poco più di due euro, ma per la cooperativa che li gestisce. Ogni giorno nascono nuove cooperative che piuttosto che fare lavoro d’integrazione fanno del business. E lo vediamo anche qui a Faenza: a breve usciremo a Faenza con i dati dell’Asp e sono cifre esorbitanti e vorremmo capire esattamente dove vanno a finire. Si tratta di soldi europei è vero, ma sono sempre nostri soldi.
Ci sono episodi negativi o positivi da prendere ad esempio che l’hanno colpita sulla questione migranti?
A Faenza hanno fatto quattro foto mentre i profughi puliscono la piazza: tante volte noi siamo definiti demagoghi ma per me questa è stata una vera e propria opera demagogica. In Italia abbiamo circa 178mila persone all’interno di varie strutture: rendiamoli utili. A Faenza hanno fatto quel lavoro lì, ma è stata una cosa chiaramente a spot. Bisogna far loro lavorare e far capire loro come è il territorio. Non scoprono il territorio con le biciclette. Ci sono tanti Comuni che li fanno lavorare: a Castel Bolognese per esempio collaborano con i dipendenti comunali, anche se il problema è che sono davvero tanti. Il lavoro socialmente utile dovrebbe essere la partenza. Bisogna far capire loro che il nostro non è il paese dei balocchi. Anche qui si deve partire dal lavoro e dalla consapevolezza del territorio.
1° — “LAVORARE” È UN VERBO CHE NON SI TROVA NEL VOCABOLARIO ZINGARONI …
2° — GLI immiGRATIS NON VENGONO IN ITALIA A CAUSA DELLE GUERRE, DELLE CARESTIE, E DEI BLA BLA BLA … … … :
TRATTASI DI INVASIONE..PER ISLAMIZZAZIONE !!