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Le radici storiche del Palio del Niballo: tra Manfredi, stemmi parlanti e giostre medievali

Quella che segue è la prima parte dell’intervista realizzata ad Aldo Ghetti (Ufficio Palio). In questa parte di intervista ripercorriamo la storia del Palio del Niballo partendo dalla sua nascita, nel 1959, per poi tornare indietro nel tempo fino alla Faenza rinascimentale dei Manfredi e di epoca comunale. Il Palio è stato effettivamente una invenzione del dopoguerra, ma perchè è nato? E quali sono le radici storiche? Quali sono gli errori fatti dagli storici e quali invece i punti di forza della nostra giostra? E cosa rappresentano gli stemmi dei rioni? Buona lettura!

Il Palio del Niballo nasce a Faenza nel 1959. Ma in che modo nasce esattamente e perchè?

Mio babbo era nel gruppo dei fondatori nell’aprile 1959, io all’epoca avevo sette anni. Il Palio è nato in maniera abbastanza curiosa. Come ha fatto notare Luigi Solaroli, due anni prima al 1959 c’era stata una situazione di scandalo che nacque da un carro mascherato. A Faenza queste sfilate erano molto sentite a livello carnevalesco, specie dopo gli anni difficili del dopoguerra. Era uno dei momenti di massimo sfogo della popolazione. Ci fu su uno di questi carri una ragazza che era vestita con un maglina rosa, ma da lontano sembrava nuda. Ai tempi di allora questa cosa fu terrificante, uno scandalo… le basi della nostra moralità col tempo cambiano… la chiesa per motivi ordini pubblico legati alla morale decise di annullare la sfilata e l’anno dopo non si fece.

E quindi cosa successe?

Un gruppo di appassionati di storia decisero di dare vita a un’iniziativa alternativa. Il “come nacque” inteso come racconti, testimonianze dirette e sui rapporti tra di loro si è un po’ perso e sarebbe bello indagare in questo campo per cercare di trovare testimonianze… io purtroppo di fonti non ne ho. In ogni caso questo gruppo di amici decisero di dar vita a un evento legato alla storia della città. Faenza è sempre stata molto legata ai Manfredi, la nostra è definita la città “manfreda”, per cui si scelse quel periodo. Era un periodo molto ricco anche dal punto di vista costumistico e degli stemmi (che però sono di origine comunale, del 1100-1200, mentre i Manfredi diventano signori nel 1313 e sono stati signori di Faenza fino al 1501, una delle signorie più longeve di Romagna).

“Errori storici? Lo chiamarono Palio del Niballo, mentre in realtà tecnicamente è una giostra”

I rioni hanno dunque fondamento in questa ricostruzione storica?

Sì, anche se all’epoca dei Manfredi i rioni non c’erano più come organizzazione di base. Nominavano solo 25 saggi che andavano a comporre i cento pacifici. Ancora adesso abbiamo una sala al Ridotto del Teatro chiamata la sala dei cento pacifici. I Rioni a quel tempo fungevano solo da rappresentanti che creavano un gran consiglio a cui i Manfredi si riferivano per gestire la città. È interessante questo: bisogna ricordarsi infatti che all’epoca le signorie erano molto dittatoriali. Il fatto che una signoria si basassero su un minimo di rappresentanza cittadina testimonia il legame che si era creato tra la città e i Manfredi.

Ci sono errori storici che i fondatori del Palio del Niballo commisero nella loro ricostruzione?

Lo chiamarono Palio, quando in realtà tecnicamente è una Giostra, dato che si corre con la lancia. Il Palio è la corsa con i cavalli, una gara anch’essa presente nella nostra tradizione. C’erano entrambe le manifestazioni a Faenza: pali e giostre. I Pali propriamente detti, che facevano correre i cavalli senza cavaliere, a Faenza erano due, quello di S.Pietro e quello dell’Assunta e – ma le fonti sono confuse – partivano da Porta Imolese circa e arrivavano alla piazza o Porta Ponte. Le giostre venivano corse dai nobili “che giostravano a romper le lance sul niballo”, un simulacro di legno e di ferro. Queste tre corse, pali e giostre, sono testimoniate fin dall’epoca comunale e per tutta la signoria dei Manfredi. Poi in epoca successive si è continuata a fare più la giostra, ma è divenuta sempre più un ragionamento in ambito nobiliare. Con la decadenza della cavalleria e la nascita delle armi di fuoco la giostra è rimasta semplicemente come rappresentanza di classe.

“Il nostro impianto storico è ben documentato, molte altre città hanno inventato di sana pianta contrade, storie e tradizioni”

Come vengono ricordati i cavalieri faentini nei libri di storia?

Nei libri di storia i faentini e i bolognesi sono citati negli annali come cavalieri di grande qualità giostrando di fronte all’imperatore Barbarossa, “ben figurando”. La nostra città ha mandato cavalieri in Terra Santa. Il conte di Vitry, un templare, è stato probabilmente conosciuto dai faentini nella crociate, e aiutò Faenza contro Ravenna al suo ritorno dalla Terra Santa.

Che giudizio globale puoi dare sul recupero storico fatto relativo a quest’epoca e in relazione alle manifestazioni del Palio del Niballo?

Ovviamente pali e giostre erano molto diffusi nel medioevo. Noi però abbiamo mantenuto un impianto storico documentato come Siena o Arezzo, mentre altre città hanno inventato di sana pianta creando nomi di rione sulla base parrocchiale. Unico errore storico che abbiamo noi forse è che la vera demarcazione dei Rioni non è quella che conosciamo adesso, di epoca napoleonica. Alcuni studiosi sostengono che, avendo un Rione la difesa di una porta, è difficile che la stessa porta fosse un punto di divisione tra i due rioni: militarmente il punto di congiunzione tra due unità è il punto più debole. Molto probabilmente le aree di competenza comprendevano al loro interno delle porte: Porta Ravegnana, per esempio, comprendeva anche parte del Rione Rosso probabilmente. Storicamente quindi i rioni sono molto importanti: c’erano e avevano competenza territoriale e di rappresentanza. L’unico che non ha base storica è il “Rione Bianco” che allora era il Borgo della Città e non aveva funzioni militari nè quindi gonfalone, oggi giustamente è stato ripreso il nome Borgo Durbecco, poichè a Faenza c’erano quattro Rioni e un Borgo.

“Ogni stemma dei rioni ha una storia da raccontare”

Veniamo ai simboli e agli stemmi dei quattro rioni faentini e del Borgo: sono inventati di sana pianta nel 1959 o hanno dei fondamenti di storicità? E cosa rappresentano?

La suddivisione attuale dei cinque rioni di Faenza è di epoca napoleonica
La suddivisione attuale dei cinque rioni di Faenza è di epoca napoleonica

L’unico inventato è, come detto, l’unico che allora era un Borgo, e quindi non era un rione. I cento pacifici erano infatti nominati dai quattro rioni. I quattro rioni hanno stemmi che l’araldica definisce “stemmi parlanti”: raccontano l’area di origine. Il Rione Verde ha tre cupolette che sono la classica raffigurazione araldica di un monte: è il Rione che sta a Porta Montanara, la montagna ha di base colore verde, quindi non poteva che avere quel colore. Il Rione che noi chiamiamo “Nero” è più equivoco: nero infatti è solo la bordatura dello stemma. Parla però il pino con la cosiddetta torta bisante, la moneta bizantina: è di una chiarezza lampante, è il rione rivolto verso Ravenna, Bisanzio. Faenza aveva in antichità pinete che da Faenza arrivavano fino a Ravenna e il mare. Il rione Giallo è il rione della torre: Faenza fino al 1842 aveva Porta Ponte, che controllava il ponte sul Lamone. Lì c’era una torre che chiudeva fuori il borgo. Sulla storia del Rione Rosso c’è più discussione… certamente è uno stemma che dà la sensazione di essere affidato a una parte territorialmente più combattiva. Una mano armata di stocco non può che essere parlante anche quello… forse all’epoca c’era un concentramento particolare di personaggi che portò a tale identificazione. Il Rosso è il colore della forza e della passione. E’ certo che il Rione Rosso veniva citato come uno dei Rioni che stava alla testa dell’esercito faentino quando usciva in guerra.

E cosa puoi dirci dei legami tra questi rioni e alcun famiglie faentine dell’epoca come Accarisi e Manfredi? Hanno legami con Rione Rosso e Rione Giallo?

Lo stemma degli Accarisi in realtà è un po’ diverso, è l’aquila bianca in campo rosso… è il contrario di quello dei Manfredi che è bianco e azzurro. Gli Accarisi erano ghibellini, i Manfredi erano guelfi. Hanno lottato a Faenza, e alla fine hanno vinto i Manfredi. Si dice che i Manfredi avessero casa al Rione Giallo. Di sicuro in via Baroncina (strada del Rione Giallo che parte da corso Saffi e va fino Mura Torelli, ndr) c’erano gli orti dei Manfredi e lì, precedentemente, fecero la giostra in onore dell’imperatore Barbarossa. Il fatto che i Manfredi abitassero nel Rione Giallo crea un legame particolare tra i due… il motto del Giallo richiama un motto tedesco dei Manfredi (che infatti erano di etnia germanica).

Per quanto riguarda il Borgo invece?

Il Borgo è stato costruito nel 1959. Infatti qualche purista voleva avere come stemma Porta delle Chiavi, l’unica rimasta intatta in città. C’era però ancora forte il ricordo del ponte distrutto da una fiumana nel 1842… un ponte che se oggi avessimo integro sarebbe stato un bellissimo monumento. Era un antico ponte romano a schiena d’asino con l’innesto di due torri.

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Il Ponte delle due torri di Faenza, distrutto da una fiumana nel 1842

Dopo questa prima parte dell’intervista dove si sono ripercorse le fondamenta storiche del Palio del Niballo, nella seconda parte dell’intervista ad Aldo Ghetti ripercorreremo invece la storia del Palio in epoca moderna e gli scenari futuri di questa manifestazione.

Le altre interviste del dossier Mondo Palio

Intervista a Giordano Gonnesi – Cooperativa dei Manfredi

Intervista a Ivan Berdondini – Rione Verde

Intervista a Peter Caroli – Rione Nero

Intervista a Marco Montanari – Rione Rosso

7 thoughts on “Le radici storiche del Palio del Niballo: tra Manfredi, stemmi parlanti e giostre medievali

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